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Melanoma: i pazienti in sovrappeso rispondono meglio alle nuove terapie



Gli uomini in sovrappeso o obesi, colpiti da melanoma metastatico rispondono meglio alle terapie mirate e all’immunoterapia oncologica, rispetto a chi è normopeso.
In particolare si osserva un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione ( PFS ) e la sopravvivenza globale.
Questo non si osserva invece fra le donne e nei pazienti obesi ( uomini e donne ) trattati con la chemioterapia.

Nel 2017 in Italia sono stimati circa 14mila nuovi casi di melanoma, di cui 1.000 in Campania. È in costante crescita soprattutto fra i giovani, infatti è il terzo tumore più frequente negli under 50.

Questa ricerca può permettere di comprendere meglio il meccanismo di funzionamento delle nuove terapie.
Tuttavia, resta fermo il ruolo dell’obesità quale fattore di rischio di molte neoplasie. È dimostrato infatti il rapporto tra sovrappeso e tumori frequenti come quelli del colon-retto, del seno, della prostata e dello stomaco.

Una dieta corretta potrebbe inoltre rivelarsi utile anche nella prevenzione del melanoma.
Molti agenti antiossidanti in fase di sperimentazione per la prevenzione di questa patologia sono derivati alimentari: i licopeni, composto che si trova principalmente nei pomodori, i sulforafani, una piccola molecola isolata dai fiori di broccoli, e gli estratti del tè verde.

Lo studio sulla correlazione tra obesità e melanoma è stato presentato da Michael Davies del MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas ( Stati Uniti ) nel corso di Melanoma Bridge diretto da Paolo Ascierto, Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli; il lavoro è stato pubblicato su Lancet Oncology.

Con l’avvento delle terapie immuno-oncologiche ( Ipilimumab [ Yervoy ], Pembrolizumab [ Keytruda ], Nivolumab [ Opdivo ] ) e terapie target ( Vemurafenib [ Zelboraf ], Dabrafenib [ Tafinlar ], Trametinib [ Mekinist ] e Cobimetinib [ Cotellic ] ) l’approccio al paziente con melanoma avanzato è cambiato radicalmente.

Il primo step nel trattamento della malattia metastatica è la valutazione dello status mutazionale.
Il 40-50% dei melanomi cutanei presenta una mutazione del gene BRAF, alterazione che identifica quei pazienti che possono beneficiare del trattamento con la combinazione di Dabrafenib - Trametinib e Vemurafenib - Cobimetinib, in grado di prolungare la sopravvivenza globale.

Il ruolo della chemioterapia è stato stravolto dall’arrivo di queste molecole: il tasso di sopravvivenza a un quinquennio, nella fase metastatica, non aveva mai superato il 12%.
In Italia, l’Agenzia Italiana del Farmaco ( AIFA ) ha reso disponibili nel 2016 due molecole immuno-oncologiche, Nivolumab e Pembrolizumab, per il trattamento del melanoma avanzato indipendentemente dalla mutazione del gene BRAF.
A maggio 2016 l’Agenzia regolatoria europea ( EMA ) ha approvato la combinazione Nivolumab e Ipilimumab nel melanoma avanzato in base ai risultati dello studio CheckMate -067 ( 945 persone coinvolte ).

Il 58% dei pazienti trattati con questa combinazione è vivo a tre anni, si tratta di un dato senza precedenti che rende concreta la possibilità di cronicizzare il melanoma in più della metà dei casi perché è noto che dopo 36 mesi le percentuali di sopravvivenza si mantengono stabili nel tempo.
Inoltre a tre anni il 59% dei pazienti trattati con la combinazione era libero dalla necessità di ulteriori terapie.

Una delle ultime novità è il possibile uso dell’immuno-oncologia nel trattamento adiuvante, come evidenziato in uno studio ( CheckMate -238 ) pubblicato su The New England Journal of Medicine ( NEJM ) che ha coinvolto pazienti con malattia in stadio III ad alto rischio di recidiva dopo resezione chirurgica completa.
Sono stati arruolati 906 pazienti, di cui 30 a Napoli.
Il trattamento con Nivolumab ha evidenziato una riduzione del rischio di progressione della malattia del 35% rispetto a Ipilimumab, la prima molecola immuno-oncologica approvata.
Si aprono quindi nuove prospettive nella terapia adiuvante del melanoma, cioè dopo l’intervento proprio per ridurre il rischio di recidiva.
I tassi di sopravvivenza libera da recidiva a 18 mesi nei gruppi trattati con Nivolumab e Ipilimumab erano rispettivamente pari al 66.4% e al 52.7%.
Nivolumab ha raggiunto questi risultati indipendentemente dallo stato mutazionale del tumore.

E' stato anche presentato uno studio sulla combinazione di Pembrolizumab con Epacadostat, molecola che agisce direttamente all’interno del microambiente tumorale.
Uno dei meccanismi noti di resistenza è rappresentato da un enzima, IDO, prodotto all’interno delle masse tumorali dalle cellule malate e dai linfociti.
Epacadostat è in grado di neutralizzare questo enzima che blocca l’attività del sistema immunitario.
Nella strategia delineata in questo studio da un lato si attiva la risposta immunitaria togliendo il freno alla risposta del sistema immune grazie a Pembrolizumab dall’altro con Epacadostat si agisce direttamente dentro il tumore eliminando l’enzima IDO e facendo sì che il microambiente tumorale sia meno resistente alla terapia. ( Xagena Medicina )

Fonte: Melanoma Bridge, 2017

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Per approfondimenti: OncologiaMedica.net http://oncologiamedica.net/



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