Salute
Lo studio di fase 3, APHINITY, condotto su 4.805 donne con tumore della mammella HER2-positivo ha dimostrato che l’aggiunta di Pertuzumab ( Perjeta ) al trattamento standard con Trastuzumab ( Herceptin ) in adiuvante, cioè subito dopo l’intervento chirurgico può proteggere dalla comparsa di metastasi a distanza, soprattutto nelle donne ad alto rischio ( quelle con presenza di metastasi ai linfonodi ascellari e con recettori per gli estrogeni negativi ).
Lo studio, presentato all'ASCO Meeting, è stato pubblicato su The New England Journal of Medicine.
L'obiettivo dello studio era verificare se l’aggiunta di un secondo farmaco anti-HER2 ( pertuzumab ) potesse migliorare i risultati del trattamento con Trastuzumab.
Dopo 3 anni di follow up, la malattia non era progredita nel 93.2% delle pazienti in monoterapia con Trastuzumab, contro il 94.1% di quelle trattate con Pertuzumab e Trastuzumab.
La prognosi delle pazienti in trattamento con Trastuzumab è già molto favorevole, ma in quelle trattate con entrambi i farmaci, il rischio di sviluppare metastasi da tumore della mammella in questo studio è risultato inferiore del 19% rispetto a quelle trattate in monoterapia.
Le donne con tumore della mammella HER2-positivo presentano una prognosi peggiore di quelle HER2 negative, ma l’arrivo della terapia a target anti-HER2 ha rivoluzionato le prospettive di vita di queste pazienti.
I primi risultati di questo studio avevano dimostrato che è possibile migliorare ulteriormente la prognosi di alcune di queste donne, aggiungendo alla loro terapia un secondo farmaco anti-HER2.
Il Trastuzumab agisce solo sui recettori HER2, mentre Pertuzumab blocca contemporaneamente sia gli HER2 che gli HER3. Associando queste due terapie, si ottiene un blocco più completo dei segnali di crescita tumorale e questo può ridurre la possibilità di una resistenza al trattamento.
Secondo Lucia Del Mastro della Breast Unit dell’Ospedale San Martino di Genova, il Trastuzumab ha cambiato la prognosi delle donne con tumore della mammella HER2 positivo. Tuttavia, il 25% delle donne trattate con Trastuzumab sviluppa nel tempo delle metastasi.
Nello studio APHINITY, l’associazione dei due farmaci viene somministrata precocemente, in adiuvante, subito dopo l’intervento chirurgico. E i risultati sono che, a 3 anni di distanza, la doppia associazione, in questo contesto di pazienti, riduce del 19% il rischio di comparsa di metastasi.
E' un piccolo miglioramento in questa categoria di pazienti, che si traduce in un maggior numero di donne che possono guarire dal tumore della mammella e non semplicemente cronicizzare questa condizione.
Idealmente l’associazione Pertuzumab e Trastuzumab andrebbe riservata alle donne a maggior rischio di sviluppare metastasi.
L'obiettivo è individuare dei biomarcatori predittivi. Ad esempio, le donne che al momento dell’intervento chirurgico presentano delle metastasi a carico dei linfonodi ascellari sono a maggior rischio di sviluppare metastasi. Potrebbero esserci inoltre altri fattori biologici da valorizzare, quali ad esempio l’assenza dei recettori per gli estrogeni o un grado di differenziazione del tessuto tumorale meno favorevole.
Lo studio APHINITY ha arruolato circa 5.000 pazienti con tumore della mammella HER2-positivo in fase iniziale, che erano state sottoposte a mastectomia o a rimozione del nodulo tumorale.
Le pazienti sono state assegnate in modo random al trattamento con Trastuzumab più placebo oppure a Trastuzumab più Pertuzumab, in aggiunta alla chemioterapia per 18 settimane.
Il 63% di queste pazienti aveva metastasi ai linfonodi ascellari e il 36% non aveva recettori ormonali.
Dopo un periodo di follow-up medio di quasi 4 anni, il 7.1 per cento delle pazienti del gruppo Trastuzumab più Pertuzumab aveva sviluppato metastasi, contro l’8.7% di quelle trattate con Trastuzumab.
A distanza di 3 anni, il 94.1% delle pazienti del gruppo Pertuzumab non presentava metastasi, contro il 93.2% di quelle del gruppo placebo; i benefici del Pertuzumab erano un po’ più evidenti nelle pazienti con metastasi linfonodali nelle quali il tasso di sopravvivenza libera da progressione di malattia a tre anni era del 92% ( contro il 90.2% del gruppo di controllo ).
Lo studio APHINITY prosegue con l’osservazione delle pazienti dei due gruppi di trattamento per valutare se su un intervallo più lungo di tempo potranno emergere dei benefici con l’aggiunta del Pertuzumab. ( Xagena Medicina )
Fonte: ASCO - American Society of Clinical Oncology - Meeting, 2017
Xagena_Salute_2017
Per approfondimenti: OncoGinecologia.net http://www.oncoginecologia.net/