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Bronchiectasia: trattamento con Brensocatib, un inibitore DPP1


I dati della sperimentazione di Brensocatib per il trattamento della bronchiectasia hanno fornito indicazioni incoraggianti.

Lo studio in fase 2, WILLOW, pubblicato su The New England Journal of Medicine ( NEJM ) e condotto da ricercatori internazionali, apre nuove prospettive per i pazienti colpiti da una malattia spesso invalidante e orfana di un farmaco specifico, come la bronchiectasia.

La bronchiectasia è una patologia respiratoria cronica in cui i bronchi si dilatano in modo abnorme: questo provoca tosse persistente, produzione costante di catarro e infezioni respiratorie frequenti. Le bronchiectasie riconoscono diverse cause da alterazioni genetiche alle infezioni.
In Italia il dato di persone che hanno questa malattia non è noto, ma stando a dati inglesi ne sono colpite 4-5 persone ogni 1.000.

Lo studio di fase 2 ha dimostrato che Brensocatib è in grado di inibire il processo responsabile della attivazione della elastasi neutrofila, una proteina rilasciata dai neutrofili come strumento di difesa durante i processi infiammatori, che nel caso di infiammazione cronica diventa il principale responsabile dei danni polmonari.
Lo studio ha, inoltre, confermato che non viene invalidata l’efficacia antibatterica propria dei neutrofili.

La sperimentazione è stata condotta in doppio cieco su 169 pazienti trattati con Brensocatib, mentre altri 87 hanno assunto placebo.

Lo studio è positivo per diversi motivi: si tratta del primo studio su un farmaco antinfiammatorio che si assume per bocca, e soprattutto ha confermato i risultati attesi in termini di riduzione degli episodi di riacutizzazione della malattia e di riduzione dei livelli infiammatori nelle vie aeree.

In tutti i pazienti è stato osservato che Brensocatib è efficace indipendentemente dal tipo di infezione cronica presente nelle vie aeree e quindi a differenza degli antibiotici ha potenzialmente un ampio spettro di utilizzo che va dalle bronchiectasie ad altre malattie delle vie respiratorie come la fibrosi cistica e le malattie polmonari croniche.

Se questi dati saranno confermati in fase 3, Brensocatib potrebbe diventare il primo trattamento non-antibiotico in grado di prevenire le ricadute infiammatorie con conseguente miglioramento della qualità di vita e una potenziale riduzione della mortalità per chi è colpito da bronchiectasie.

Approfondimento

Brensocatib è un inibitore orale, selettivo e reversibile, della dipeptidil peptidase I ( DPP1 ). DPP1 è un enzima responsabile dell’attivazione delle serin proteasi dei neutrofili ( NSP ), come l’elastasi neutrofila.
Si ipotizza che Brensocatib riduca gli effetti dannosi delle malattie infiammatorie come la bronchiettasia non-dovuta a fibrosi cistica mediante l’inibizione di DPP1 e della sua attivazione delle serin proteasi dei neutrofili, riducendo l’attività dei neutrofili.

Le attuali lineeguida per il trattamento delle bronchiettasie raccomandano il ricorso a terapie di clearance delle vie aeree respiratorie e mucoattive per contrastare la clearance anomala, inoltre contempla l'impiego di antibiotici per via inalatoria per contrastare la colonizzazione batterica o l’infezione.
Non esistono trattamenti che hanno come bersaglio diretto l’infiammazione sostenuta dai neutrofili, che rappresenta il tratto distintivo delle bronchiettasie.

Lo studio WILLOW, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, per gruppi paralleli, aveva come obiettivo quello di valutare l’efficacia e la sicurezza di Brensocatib nei pazienti con bronchiettasia.
Sono stati arruolati 256 pazienti con bronchiettasie che avevano sperimentato almeno 2 episodi documentati di riacutizzazione polmonare nel corso dell’anno precedente all’arruolamento.

87 pazienti ( età media: 64 anni; 63.2% di sesso femminile ) sono stati asseganti in modo casuale a trattamento con placebo; 82 sono stati trattati con Brensocatib 10 mg ( età media: 64.6 anni; 69.5% di sesso femminile ), 87 pazienti ( età media: 63.7 anni; 71.3% di sesso femminile) con Brensocatib al dosaggio di 25 mg per 24 settimane.

L’endpoint primario era rappresentato dal tempo al primo episodio di riacutizzazione nel corso delle 24 settimane di durata dello studio.
Gli endpoint secondari comprendevano: il tasso di riacutizzazioni a 24 settimane e la variazione dell’attività dell’elastasi neutrofila nell’espettorato dei pazienti ( dalla fase di pre-trattamento a quella di trattamento in corso ).

Sia il tempo alla prima riacutizzazione polmonare che il tasso di riacutizzazioni sono stati analizzati in sottogruppi di pazienti sulla base delle caratteristiche iniziali, dell’anamnesi, della gravità di malattia e della concentrazione iniziale dei neutrofili nell’espettorato.

Alla termine delle 24 settimane di trattamento, il 31.7% e il 48.3% dei pazienti trattati, rispettivamente, con Brensocatib 10 mg e 25 mg, ha sperimentato almeno una riacutizzazione di malattia contro il 48.3% dei pazienti del gruppo placebo.

Brensocatib, al dosaggio di 10 mg ( hazard ratio, HR=0.58; IC 95%, 0.35-0.95; p=0.029 ) e di 25 mg ( HR=0.62; IC 95%, 0.38-0.99; p=0.046 ), è stato in grado di prolungare in modo statisticamente significativo il tempo alla prima riacutizzazione nel corso delle 24 settimane dello studio rispetto al gruppo placebo.

Il trattamento con Brensocatib 10 mg ha ridotto in modo statisticamente significativo il tasso di riacutizzazioni rispetto al placebo; il rapporto tra tassi di incidenza è stato pari a 0.64 ( IC 95%, 0.42-0.98; p=0.041 ) per Brensocatib 10 mg e pari a 0.75 ( IC 95%=0.50-1.13; p=0.167 ) per Brensocatib 25 mg.

Dallo studio è emerso che una percentuale maggiore di pazienti del gruppo placebo ( 11.5% ) è andato incontro ad almeno una grave riacutizzazione di malattia ( con necessità di ospedalizzazione ) rispetto a quanto osservato nei pazienti trattati con Brensocatib 10 mg ( 6.1% ) o 25 mg ( 4.6% ).

I tassi di ospedalizzazione legata alle riacutizzazioni polmonari sono stati pari all’8% nel gruppo placebo e al 6.1% e 4.6% nei pazienti trattati con Brensocatib 10 mg e 25 mg, rispettivamente.

Brensocatib, in entrambi i dosaggi, ha ridotto in modo significativo le concentrazioni di elastasi, rispetto al placebo, con mantenimento nel corso dello studio.

Gli eventi avversi più frequentemente osservati nei pazienti trattati con Brensocatib sono stati: tosse, cefalea, aumento della produzione di espettorato e dispnea, riacutizzazioni infettive di bronchiettasie, diarrea, fatigue e infezioni a carico del tratto respiratorio superiore.
I tassi di eventi cutanei, compresa l’ipercheratosi, sono stati pari all’11.8% nel gruppo placebo, al 14.8% nel gruppo Brensocatib 10 mg e al 23.6% nel gruppo Brensocatib 25 mg; i tassi di infezioni sono stati, rispettivamente, pari al 17.6%, al 13.6% e al 16.9%.
Gli eventi odontoiatrici sono stati, rispettivamente, pari a 3.5%, 15% e 10.1%. ( Xagena Medicina )

Fonte: Fondazione IRCCS Ca' Granda - Ospedale Maggiore Policlinico, 2020

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