Salute
Il muscolo scheletrico è il tessuto responsabile della postura, della locomozione e della respirazione diaframmatica.
I meccanismi molecolari che ne regolano sviluppo e rigenerazione in seguito a danno sono abbastanza caratterizzati.
Il muscolo scheletrico è, infatti, un tessuto in grado di rigenerare in seguito a danno acuto o cronico ad opera di una popolazione di cellule staminali adulte chiamate cellule satelliti.
Le distrofie muscolari sono patologie eterogenee sia dal punto di vista clinico che molecolare, caratterizzate da atrofia primaria del muscolo scheletrico, che compromette la mobilità dei pazienti e, nei casi più gravi, le funzioni respiratorie e cardiache, portando a dipendenza dalla sedia a rotelle, insufficienza respiratoria e morte prematura.
Le fibre danneggiate o morte possono essere riparate o sostituite dalle cellule satelliti. Tuttavia, le cellule satelliti distrofiche, avendo lo stesso difetto genico, producono fibre che sono a loro volta soggette a degenerazione.
Nelle distrofie muscolari, la degenerazione del muscolo scheletrico è cronica e i continui tentativi di riparo e rigenerazione da parte delle cellule satelliti comportano il loro esaurimento e la sostituzione del muscolo con tessuto connettivo e adiposo.
Tra le varie terapie proposte per la distrofia muscolare, sono stati sviluppati molti tentativi volti ad aumentare la rigenerazione muscolare per rendere i muscoli distrofici ipertrofici e quindi più forti e per contrastarne la progressiva degenerazione.
Questo risultato è stato ottenuto a spese della proliferazione e del differenziamento delle cellule satelliti, la cui riserva è peraltro più ampia nel topo che nell’uomo: effetti positivi infatti si sono avuti nella cura delle distrofie muscolari murine, mentre i pochi studi clinici si sono rivelati privi di successo, proprio a causa del rapido consumo delle cellule satelliti.
Ricercatori, guidati da Graziella Messina del Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano ha pubblicato sulla rivista Nature Communications uno studio, durato 5 anni, che ha del tutto scardinato la visione corrente nel campo delle distrofie muscolari.
Il muscolo distrofico è un tessuto strutturalmente fragile e forzarlo a rigenerare, e quindi a lavorare di più, lo porta, paradossalmente, a una esacerbazione del fenotipo.
In passato diversi studi avevano evidenziato come le fibre muscolari che si contraggono lentamente ( fibre lente ) fossero quelle che degeneravano più tardi nei pazienti.
L'obiettivo è stato quello di cercare di rallentare il muscolo distrofico, sia nella rigenerazione che nella contrazione.
La soluzione è arrivata da una proteinan denominata Nfix, Nuclear Factor One; quando è assente nel muscolo scheletrico ne rallenta la rigenerazione, convertendo tutte le fibre muscolari a fibre a contrazione lenta.
Lavorando con modelli murini distrofici e incrociandoli con il topo privo di Nfix i ricercatori hanno dimostrato che in assenza di questa proteina il muscolo distrofico è preservato dai diversi segni della patologia, con netto miglioramento dei parametri morfologici, riduzione della fibrosi e dell’infiammazione, recupero della funzionalità muscolare.
Questi risultati hanno posto le basi per una nuova strategia terapeutica per la cura delle distrofie muscolari. ( Xagena Medicina )
Fonte: Cordis, 2017
Xagena_Salute_2017
Per approfondimenti: Neurologia.net http://www.neurologia.net/