Salute
Nel 2017 sono stimati in Italia circa 13.600 nuovi casi di tumore del rene ( 11.600 localizzati nel parenchima renale e 2.000 nelle vie urinarie ).
Oggi il 71% dei pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi.
Il trattamento di prima scelta per la malattia localizzata e localmente avanzata è la chirurgia, conservativa quando possibile.
Circa un quarto dei pazienti, anche se operati in maniera radicale, va incontro a recidiva.
Nel cancro del rene la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate poco efficaci.
I farmaci a bersaglio molecolare hanno, invece, permesso di allungare la sopravvivenza di oltre due anni nella fase metastatica; oggi si stanno affacciando opzioni importanti per i pazienti in questo stadio.
In particolare una nuova classe di inibitori tirosin-chinasici ha evidenziato miglioramenti clinicamente significativi in uno studio di fase 3 nei parametri di efficacia più rilevanti: sopravvivenza globale ( OS ), sopravvivenza libera da progressione ( PFS ) e tasso di risposta obiettiva ( ORR ).
Accanto alle nuove possibilità terapeutiche, va migliorato il livello di conoscenza dei cittadini in modo da permettere la prevenzione della malattia e una diagnosi il più possibile precoce.
I fumatori presentano un rischio più elevato di sviluppare un tumore del parenchima renale rispetto a coloro che non hanno mai fumato.
Per i tumori uroteliali della pelvi renale la relazione è ancora più forte: per i tabagisti la probabilità è tre volte più alta e proporzionale al numero di sigarette fumate ogni giorno e agli anni di esposizione.
Anche la dieta e l’attività fisica svolgono un ruolo importante e un incremento del rischio è attribuito al sovrappeso e all’ipertensione arteriosa.
In Italia vivono circa 130mila persone dopo la diagnosi di tumore del rene.
Nel 60% dei casi il cancro al rene è individuato casualmente, come diretta conseguenza dell’impiego, sempre più diffuso, della diagnostica per immagini in pazienti non sospetti in senso oncologico.
Uno dei farmaci più innovativi nel trattamento del tumore del rene è rappresentato dall'inibitore di VEGFR-2, MET e AXL, Cabozantinib.
Nel corso del Congresso dell'ESMO ( European Society of Medical Oncology ), che si è tenuto a Madrid ( Spagna ), Giuseppe Procopio, responsabile dell’Oncologia Medica GenitoUrinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ha presentato i risultati di uno studio multicentrico italiano di utilizzo di Cabozantinib nel mondo reale, nell'ambito di un Programma di accesso allargato ( Expanded Access Program, EAP ) al farmaco.
Nei pazienti con carcinoma renale metastatico Cabozantinib è risultato efficace e sicuro, non solo nelle popolazioni selezionate degli studi clinici, ma anche nei pazienti che l’oncologo incontra nella propria attività quotidiana, spesso molto più eterogenei e più difficili da trattare a causa di vari fattori, tra cui un carico elevato di comorbilità.
Nello studio registrativo di fase III METEOR, Cabozantinib ha dimostrato di essere superiore a Everolimus in termini di sopravvivenza nei pazienti con carcinoma renale avanzato, progredito dopo almeno un precedente trattamento con un farmaco antiangiogenico.
Dopo l'approvazione dell'EMA ( European Medicines Agency ) e in attesa della rimborsabilità da parte dell'AIFA, è stato avviato il Programma italiano di accesso allargato a Cabozantinib.
Il Protocollo, innovativo, ha consentito la dispensazione di Cabozantinib ai pazienti affetti da carcinoma renale in fase avanzata, resistente a precedenti terapie.
Cabozantinib è stato somministrato a pazienti simili ai partecipanti dello studio METEOR, cioè soggetti con una diagnosi di carcinoma renale in fase avanzata, ma che allo stesso tempo rappresentavano una popolazione non-selezionata ed eterogenea, come sono quelle che si incontrano nella pratica clinica quotidiana, cioè pazienti che spesso vengono esclusi dalle sperimentazioni controllate e randomizzate e dagli studi registrativi.
In molti casi questi pazienti non-selezionati avevano una o più comorbidità, avevano sedi tumorali prognosticamente meno favorevoli, e avevano caratteristiche meno selezionate in positivo.
Al Programma di accesso allargato hanno preso parte 92 pazienti, che sono stati trattati con Cabozantinib presso 23 ospedali italiani.
L’accesso al farmaco è stato disponibile per 4 mesi, su richiesta del clinico, a partire dal settembre 2016 e i soggetti che hanno potuto beneficiarne avevano un carcinoma renale metastatico e malattia misurabile, un performace status ECOG compreso fra 0 e 2 ed erano recidivati dopo una o più terapia sistemica.
La maggior parte dei partecipanti, l’80%, presentava una istologia a cellule chiare, mentre il restante 20% aveva istologia papillare di tipo 2 o a cellule cromofobe.
Le sedi più comuni di metastasi erano il polmone ( 58% ), i linfonodi ( 46% ), l’osso ( 30% ), il fegato ( 16% ) e il cervello ( 5% ); inoltre, il 46% dei pazienti aveva metastasi in due o più sedi.
Cabozantinib è stato somministrato per via orale alla dose di 60 mg una volta al giorno in cicli di 28 giorni, dose che si poteva abbassare a 40 o a 20 in caso si manifestassero tossicità.
I clinici hanno poi valutato i pazienti dopo i primi 3-4 mesi di trattamento.
I risultati sono stati particolarmente positivi in termini di efficacia; il farmaco ha offerto un beneficio anche in popolazioni non-selezionate.
Pertanto, l'efficacia di Cabozantinib, già riscontrata nella popolazione selezionata, è stata dimostrata anche nei pazienti eterogenei, fragili, con comorbidità e/o fattori prognostici meno favorevoli.
La migliore risposta complessiva è stata quella parziale nel 31% dei casi, mentre il 25% dei pazienti ha ottenuto una stabilizzazione della malattia, e il 25% è andato incontro a progressione; nel 18% non è stato possibile valutare la risposta.
Dopo un follow-up di 7 mesi, la sopravvivenza libera da progressione è risultata di 6.2 mesi, indipendentemente dalla linea di trattamento.
E' stata osservata una sostanziale riproducibilità del profilo di sicurezza e tollerabilità emerso nello studio registrativo anche in questa popolazione non-selezionata, senza che si siano registrati eventi avversi inattesi rispetto a quelli già noti dalle sperimentazioni controllate.
I pazienti che hanno dovuto ridurre il dosaggio a causa di tossicità sono stati pari al 27%: 12 sono passati da 60 a 40 mg, 4 da 60 a 20 mg, e 9 da 40 a 20 mg.
Al momento dell’analisi, il 26% dei pazienti aveva manifestato eventi avversi di grado 3 e 4, ma solo il 5% aveva dovuto interrompere il trattamento a causa della tossicità. ( Xagena Medicina )
Fonte: ESMO, 2017
Xagena_Salute_2017
Per approfondimenti: OncoUrologia.it http://oncourologia.it/