Salute
Lo stentrodo è un dispositivo che viene inserito sotto il cranio, registra i segnali cerebrali e rilascia scariche elettriche mirate.
Le sue applicazioni vanno dal Parkinson, all’epilessia, alla depressione.
Con un diametro di appena 4 millimetri, lo stentrodo, realizzato in nitinol, è uno strumento ibrido, metà stent metà elettrodo.
Viene inserito in un vaso sanguigno attraverso un piccolo foro sul collo e svolge una doppia funzione: grazie agli elettrodi posizionati in superficie registra i segnali cerebrali e ne emette a sua volta altri rilasciando piccole scariche in punti mirati del cervello.
La stimolazione elettrica diretta del cervello può alleviare i sintomi associati al morbo di Parkinson, alla depressione, all'epilessia e ad altri disturbi neurologici.
Tuttavia, per accedere al cervello vengono generalmente adottate procedure invasive, come la rimozione di una porzione del cranio o la trapanazione.
Inoltre, l'impianto di elettrodi nel tessuto può causare reazioni infiammatorie dei tessuti e traumi cerebrali.
I ricercatori sperano che questa innovativa tecnologia possa anche aiutare le persone con una lesione del midollo spinale che hanno subito una amputazione a controllare i movimenti delle protesi.
Il dispositivo infatti può comunicare sia con la corteccia motoria, responsabile della pianificazione, controllo ed esecuzione dei movimenti, sia con la corteccia sensoriale che elabora i segnali provenienti dall’esterno.
L’intervento chirurgico per posizionare il dispositivo è mininvasivo: si effettua un piccolo foro sul collo alla base del cranio, si inserisce lo stentrodo in un vaso sanguigno con un catetere e, attraverso una angiografia a contrasto, lo si guida verso la meta desiderata.
Una volta collocato nel posto giusto lo stentrodo funziona in modalità wireless.
Sperimentato sugli animali, il dispositivo si è rivelato in grado di attivare movimenti degli arti e dei muscoli facciali simili a quelli ottenuti da dispositivi impiantati con tecniche più invasive.
La nuova tecnologia verrà testata sugli esseri umani.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Biomedical Engineering.
Fonte: Vascular Bionics Laboratory - Melbourne University, 2019
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