Salute
In Italia ogni anno oltre 48.000 donne ricevono una diagnosi di tumore alla mammella. La grande maggioranza affronta l’intervento chirurgico e, circa la metà, dopo l’operazione viene sottoposta a chemioterapia adiuvante, che spesso non risulta efficace.
Un nuovo test genomico consente su pazienti operate per un carcinoma mammario di prognosticare una eventuale ricaduta a 10 anni dalla diagnosi e le probabilità che la chemioterapia sia efficace.
Per le pazienti significa non dover affrontare senza motivo i pesanti effetti collaterali della chemioterapia, con riduzione dei costi anche per il Servizio Sanitario Nazionale ( SSN ) correlati al trattamento ed alle possibili complicanze.
In Italia le pazienti eleggibili hanno la possibilità di effettuare gratuitamente il test grazie al programma di sperimentazione PONDx.
Il test Oncotype DX fornisce informazioni su pazienti con tumore invasivo della mammella, linfonodi negativi o positivi fino a un massimo di 3, con recettori ormonali positivi, pazienti che in base ai prelievi anatomo-clinici e biologici sono in una zona di confine, in una fase in cui si può includere o escludere con certezza il trattamento chemioterapico rispetto alla sola ormonoterapia.
Oncotype DX, incluso nelle linee guida di pratica clinica europee e internazionali, è stato valutato all’interno di 6 studi che hanno coinvolto circa 4.000 pazienti con tumore mammario.
Il test può cambiare le scelte terapeutiche e permette di personalizzare il trattamento perché fornisce informazioni sulla biologia che è alla base dell’insorgenza di un determinato tumore mammario e della sua evoluzione successiva.
Secondo le evidenze disponibili un quarto delle pazienti che sarebbero state sottoposte a chemioterapia sulla base dei criteri finora utilizzati possono evitarla mentre in circa l’8% di queste pazienti viene aggiunta la chemioterapia rispetto alla sola indicazione di ormonoterapia.
La chemioterapia può produrre effetti collaterali sia acuti che a lungo termine che incidono pesantemente sulla qualità di vita delle pazienti, sull’attività lavorativa, senza contare il peso economico sul Servizio Sanitario Nazionale: in particolare, la caduta dei capelli che interferisce sull’immagine e l’autostima delle donne, effetti relativi alla fertilità ( amenorrea e sterilità ); nausea, vomito, leucopenia, fatigue, anemia, astenia, mucosite, diarrea, cardiotossicità che può sfociare in circa il 5% delle pazienti anche in una insufficienza cardiaca.
Carcinoma duttale in situ
Il carcinoma duttale in situ ( DCIS ) è un tumore poco aggressivo, in cui le cellule tumorali si trovano confinate all'interno dei dotti lattiferi.
Ogni anno in Europa vengono diagnosticati circa 50.000 casi di carcinoma duttale in situ. L'incidenza di questo tumore sembra essere in aumento, probabilmente per il fatto che sempre più donne si sottopongono agli screening mammografici, che sono in grado di rilevare piccoli noduli non-palpabili.
Le donne a cui viene diagnosticato un carcinoma duttale in situ sono trattate inizialmente con la chirurgia ( nella maggior parte dei casi di tipo conservativo, con un intervento chiamato quadrantectomia o lumpectomia, che mira a rimuovere soltanto il nodulo e una piccola porzione del tessuto circostante). Di solito, l'intervento è seguito dalla radioterapia, che può protrarsi per diverse settimane e dare luogo ad effetti avversi, come l'infiammazione della pelle e la fatigue.
La mortalità per tumore al seno a 20 anni dalla diagnosi di un carcinoma duttale in situ è bassa: si stima che sia in media del 3.3%.
Tuttavia, i carcinomi duttali in situ presentano una grande variabilità, anche in termini di prognosi e di rischio di recidiva o di un tumore invasivo.
Alcuni fattori che aumenterebbero il rischio di mortalità sono la comparsa del tumore in giovane età e l'etnia ( le donne di colore sembrano essere a maggior rischio ).
In questo contesto, informazioni importanti sull'aggressività del carcinoma duttale in situ e sulla probabilità che si sviluppi un tumore invasivo nello stesso seno possono essere fornite dai test genomici.
In particolare, per il carcinoma duttale in situ è disponibile il test Oncotype DX: è stato validato in due studi che hanno coinvolto complessivamente circa 900 pazienti.
Il test è indicato per le pazienti a cui sia stato diagnosticato un carcinoma duttale in situ e che abbiano eseguito un intervento chirurgico conservativo, ma non la mastectomia.
L'analisi viene condotta su un campione del tumore prelevato durante l'intervento chirurgico. Il test si basa sull'analisi di 12 geni del tumore correlati con la sua aggressività, un fattore chiave nella decisione di effettuare o meno la radioterapia.
Il risultato è un punteggio compreso tra 0 e 100 ( DCIS Score ):
un punteggio basso, inferiore a 39 è associato a un basso rischio di avere una recidiva locale, sia di un carcinoma duttale in situ sia di un tumore invasivo, nei seguenti 10 anni ed è probabile che il beneficio derivante dalla radioterapia sia piccolo.
un punteggio alto, compreso tra 39 e 54 è associato a un rischio intermedio.
un punteggio superiore a 54 è associato a un elevato rischio di avere una recidiva locale, sia di un carcinoma duttale in situ sia di un tumore invasivo, nei seguenti 10 anni ed è probabile che la radioterapia porti a grandi benefici.
Il test fornisce informazioni anche sui livelli di attività dei recettori per gli estrogeni e il progesterone ( ossia su quanto il tumore sia stimolato da questi ormoni ), che possono aiutare i medici a prendere decisioni anche su eventuali trattamenti farmacologici preventivi. ( Xagena Medicina )
Fonte: Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, 2017
Xagena_Salute_2017
Per approfondimenti: OncoGinecologia.net http://www.oncoginecologia.net/